«Pensavamo che sarebbero venuti ad arrestarci entro un mese, invece non successe niente». È così che la nascita di Orfeo Tv a Bologna – prima telestreet italiana con l’intenzione di “disgregare il potere monopolistico applicando il principio di libertà di comunicazione” – viene spesso raccontata dai suoi stessi fondatori (anche nel libro “Telestreet” di Berardi – Jacquemet – Vitali). Infatti così è stato: dal 2002 le emittenti di strada hanno proliferato liberamente, a parte pochi casi specifici di repressione (Discovolante di Senigallia tra tutti) e nonostante qualche attacco esterno, come i velenosi strali dell’Aeranti-Corallo, ovvero la confcommercio delle tv locali, qualche frase poco conciliante del ministro Gasparri o le incredibili accuse svelate dall’ultimo Rapporto del ministero degli Interni, che classificava le telestreet nel capitolo dedicato a “terrorismo ed eversione”.
A parte questo, le tv di strada (almeno quelle rimaste attive) vivono e
lottano insieme a noi, mentre il monopolio o “regime” mediatico
è più forte che mai. I due elementi forse si condizionano
a vicenda. Come osservava Leo Strauss “l’altra faccia della
libertà illimitata è l’irrilevanza della facoltà
di scegliere”. Un osservatore cinico farebbe notare: perché
prendersi il fastidio di proibire ciò che comunque ha
scarsissima rilevanza?
Mettere in piedi una telestreet richiede degli sforzi tecnici che si
traducono in responsabilità politiche e anche legali. Al di
là di tutte le considerazioni sull’immagine e sui linguaggio,
questo resta un capitolo fondamentale. Come è noto, la
legislazione italiana in tema di emittenza televisiva e libertà
di comunicazione è estremamente confusa e carente.
È necessario individuare «strumenti per ampliare il nostro
spazio di azione, per trovare incrinature, fessure in cui inserire i
cunei che ci permettano di scardinare il regime di dittatura mediatica
che si è instaurato nel nostro paese» come ha scritto
Valerio Minnella, ex di Radio Alice e ora nel gruppo di Orfeo Tv
occupandosi dell’area legale.
Innanzitutto, in base all’articolo 21 della Costituzione, “tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può
essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Tuttavia la legislazione in materia radiotelevisiva (Mammì 1990
con le sue “concessioni-truffa” e il piano di assegnazione mai
realizzato, Maccanico 1997 che tentò maldestramente di metterci
una pezza) e le varie sentenze della Corte Costituzionale rendono la
situazione molto più complicata e, a nostro avviso, anche
incostituzionale.
Inoltre, volendo attenersi a un’interpretazione rigorosa della
Mammì, tutte le concessioni televisive attualmente in vigore
possono essere considerate prive di validità, in quanto manca il
previsto piano nazionale delle frequenze. Vabbe’: cosa aspettarsi dal
governo che ha salvato Rete4 per opera del suo proprietario?
In quanto alle sanzioni e ai rischi: la Mammì (modificando
l'art. 195 del codice postale) prevedeva multe e/o arresto anche per il
solo possesso di un apparecchio trasmettitore, ma di fatto (fino a poco
tempo fa) sono sempre state applicate solo le multe e il sequestro
delle attrezzature e solo in casi di disturbi ad altre emissioni. In
molti pensano che gli Odg approvati nell’ottobre 2003 dalla Camera
(nati come proposta di legge dell’on. Grignaffini dei Ds e di altri 98
deputati del centrosinistra) rappresentino un’implicita garanzia per le
tv già esistenti, ma non è detto.
Certo, basta pensare all’attuale panorama italiano di concentrazioni e
interessi nel settore televisivo tra i più protervi delle
democrazie occidentali, per riflettere davvero sul concetto di
illegalità. Come dice Antonio Ciano di TMO Gaeta: «Vedete
in che situazione stiamo in Italia? E qualcuno mi verrebbe a dire che
siamo illegali? Cosa è la legalità e l’illegalità?
Attendo spiegazioni... Qui si parla di federalismo, ma per chi?
Perché non dovrei prendermi ciò che è mio? Che
è nostro?
L'etere della nostra città, quello ci appartiene».
D’altronde la scelta originaria di contravvenire alla legge
Mammì è assolutamente politica. E tutto sommato la tv di
strada nasce politica tanto quanto la televisione “vera” nasce
commerciale (ovvero politica anche lei, ma ben dissimulata). Nella
consulenza tecnica redatta dell’ing. Carlo Gubitosa in difesa della tv
sequestrata Discovolante vengono sottolineati i mutamenti sociali e
tecnologici intervenuti nel settore televisivo, a cui le attuali leggi
non sono più adeguate: ormai apparecchiature per la trasmissione
di segnali tv in ambito ristretto sono disponibili sul mercato a basso
costo (circa mille euro), e allo stesso tempo si sono abbattuto i costi
per le attrezzature di ripresa, di montaggio, di distribuzione. Inoltre
il segnale emesso dai trasmettitori è così debole da
essere paragonato a quello di un walkie talkie. Le microtv di strada e
di quartiere, dunque, sono a tutti gli effetti un nuovo medium che
esige nuove regole.
Prendiamo il famoso caso gaetano di Tele Monte Orlando: gli ispettori
della polizia postale hanno concluso che non ci sono problemi se non si
disturbano altre frequenze o non arrivano segnalazioni, il sindaco
della città (pure di Forza Italia) si fa intervistare in diretta
e autorizza le riprese in consiglio comunale, se ne parla sui giornali
e gli studenti ci fanno tesi universitarie, il segnale ripetuto da
Monte Orlando su un canale libero copre una buona parte del centro
città, un bacino pari almeno a diecimila spettatori. Come scrive
Zygmunt Bauman nel suo fondamentale saggio “Modernità liquida”
di fronte alla progressiva colonizzazione dello spazio pubblico da
parte del privato c’è bisogno di “riprogettare e ripopolare
l’agorà”: “apparirà chiaro come la consapevolezza sia
l’inizio della libertà”.
Una delle soluzioni future è quella di arrivare alla creazione
di “tv comunitarie”, sul modello di esperienze già esistenti
all’estero. Ambrogio Vitali è tra gli autori di “un nuovo
progetto di apertura legalizzata di spazi pubblici per la comunicazione
con il coinvolgimento delle Pubbliche Amministrazioni”, attraverso le
T.CAP, televisioni comunitarie ad accesso pubblico, basandosi su
modelli già esistenti in molti Paesi nordeuropei, negli Usa, in
Canada.
Ulteriori opportunità in questo senso possono arrivare anche
dalla novità del digitale terrestre, se e come prenderà
piede, dopo le pastoie della legge Gasparri. Ma su come le
modalità di pratica mediattivista della tv di strada possano
essere collegabili a questi nuovi modelli da qualcuno ribattezzati “tv
dei sindaci” il confronto è tutto aperto e solo agli inizi. Il
mediattivista olandese David Garcia, direttamente dalla patria
più feconda di open channel e tv comunitarie, afferma che
«il trionfo della libera trasmissione finanziata con fondi
statali, insieme ad una televisione di contenuti ricchi di
diversità però ha ricreato nel tempo le condizioni
precedenti nel rapporto tra produttori e fruitori. Questa integrazione
istituzionale ha progressivamente determinato una qualità sempre
più scadente, togliendo energia alla necessità di
comunicare e di inventare altri mondi possibili».
In finale, il concetto a cui bisogna arrivare è unico e
semplice: l’etere è un bene pubblico, e in quanto tale va
tutelato. Insomma, di cosa si parla quando si parla di etere? Di cosa
si parla quando si parla di televisione?
Di cosa abbiamo parlato finora su queste colonne e altrove? Ebbene,
ancora una volta si parla di colonizzazione e dominio. Ancora una volta
si parla di rapporti di produzione e relazioni politiche.
«L’audience in quanto maggioranza si rivela una macchina per
produrre maggioranza attraverso l’abbattimento di ogni
differenziazione» dice Carlo Freccero.
Drizzate le orecchie (e le antenne): «In questo modo si crea il
meccanismo dello sfruttamento non più nella sfera della
produzione, ma nella sfera del consumo. Lo spettatore è un
lavoratore che non sa di lavorare e non viene retribuito. La
televisione commerciale rappresenta un mezzo per fare del nostro tempo
libero una forma di mercato».
In questo senso – e sarà bene che gli aspiranti briganti del
terzo millennio lo tengano a mente – la svolta economica e televisiva
degli ultimi venticinque anni, la colonizzazione delle menti e dei
desideri, la logica della maggioranza che ha finito per assoggettare la
politica, rappresenta un trauma decisivo per la nostra vita sociale.
Una nuova colonizzazione, e peraltro molto seducente. E ora c’è
bisogno, ancora, di nuovi briganti.
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