https://www.ilbrigante.com - Il Brigante, novembre 2004
Tele Monte Orlando non prende prigionieri. Anche se il suo Masaniello dell’etere, Antonio Ciano, in qualcuna delle sue uscite pirotecniche ancora insiste su certi vecchi cavalli di battaglia, tipo: “riapriremo il carcere di Gaeta per i traditori della Patria e per tutti coloro che hanno profanato la Costituzione”. Il dato nuovo è che lo fa con l’occhio puntato sulla telecamera, insinuandosi nel discorso televisivo, usando spudoratamente il fattore destabilizzante – popolaresco del suo personaggio, il tabaccaio che le canta chiare.
Nella panoramica un po’ disastrata delle televisioni di strada
nate come funghi in tutta Italia un paio di anni fa e poi ricadute nel
silenzio, l’emittente gaetana TMO – che fu una delle prime
– rappresenta un’eccezione specifica e molto particolare.
Per la capacità che ha avuto di penetrare nel corpo sociale
(molle e apatico) della comunità gaetana, per la tenacia con cui
ha deciso di stabilizzarsi come prodotto civico e – perché
no? – monetizzabile, e soprattutto per avere esposto e diffuso la
sua identità meridionalista, coniugando il revisionismo storico
delle nefandezze risorgimentali e la difesa della Costituzione
democratica ai tempi degli sfasci berlusconiani. In tutto questo tempo
TMO ha collezionato anche molti errori, e si è infilata spesso
in dannose beghe paesane che hanno appannato la sua immagine: gli
“orlandones” si sono difesi da sabotaggi e traditori, ma
hanno pure affossato le componenti più “estraniate”,
tardo-situazioniste e riflessive del gruppo. Il risultato di oggi
è una piccola emittente di paese formalmente illegale ma
tollerata (parola del Ministero, ma ci sono pure posti come Senigallia
dove una telestreet, Disco Volante, è sotto sequestro e vicina
al processo), più normalizzata e con un po’ più di
aplomb ma ancora capace di adempiere alla sua missione. E oggi chiede
contributi, innanzitutto, alla gente.
Antonio Ciano è la Ann
Coulter del meriodionalismo mediatico in
salsa gaetana, il suo opposto e contrario ovviamente, e
c’è poco da fare gli schizzinosi. A questo punto, occorre
allargare la prospettiva, e chiedersi: cosa c’è di utile
nell’esperienza di TMO da esportare nel “sud del terzo
millennio”? Qual è la lezione da imparare per un
meridionalismo popolare e di sinistra capace di mettersi in gioco?
Prendiamo un dato di fatto: nel giro di qualche mese di lezioni
televisive nel tinello di casa Ciano, le vendite de “I Savoia e
il massacro del Sud” e simili hanno registrato una piccola
impennata, e il maltrattato pensiero sul Sud e sulla colonizzazione
risorgimentale (perdipiù in un città-simbolo come Gaeta)
è passato da oggetto di sberleffo o oggetto di seria
considerazione. Insomma, c’è un pubblico pronto ad
ascoltare e capire, se si trova il giusto modo di raggiungerlo.
TMO trasmette di tutto, dalle faccende del paese (una telecamerina e
via) alle lezioni di storia ai video dell’Unità o di
Moore. Con meno azzardi e meno creatività di una volta, con
minore spirito corsaro e più professionalismo. Però,
meglio di niente. Dice Ciano: «Quando non avevamo questa risorsa
nessuno aveva paura di noi, oggi il sottoscritto è diventato il
pericolo numero uno, ma per chi?? Non certamente per i nostri contadini
e pescatori, non certamente per i nostri operai, non certamente per i
nostri giovani costretti all'emigrazione... Abbiamo mandato in onda
servizi “pericolosi” per il regime, servizi sulla mafia,
sulla centrale nucleare del Garigliano che produce leucemie e tumori;
abbiamo mandato in onda i consigli comunali della nostra città e
qualcuno comincia ad aver paura. Noi non filtriamo niente, mandiamo in
onda la realtà e contrapponiamo l'isola di Patatè a
quella dei famosi». Si può rimproverare a Ciano (che di
TMO è Fondatore e Simbolo) una sua arrogante parzialità,
una presunzione gramsciana nell’assecondare i suoi interlocutori
per poi convertirli, un’incapacità di catalizzare il suo
carisma in razionalismo politico. Ma Ciano fa il suo gioco, e voialtri?
Principi semplici, adescamenti retorici, che però hanno una loro
platea e spostano il discorso su un piano di una possibile politica
popolare, di un coinvolgimento di energie nuove, di un dissacramento di
vecchi mausolei e vecchi tromboni. Tutte cose che, a un meridionalismo
veramente moderno (diverso anche dallo stesso Ciano) servono come il
pane.
Anche TMO rischia da tempo di diventare un ennesimo prodotto
dell’espertocrazia, un affare di professionisti del video e
pubblici targettizzati, di maquillage estetici e affidabile spirito
civico. Ma la sfida della comunicazione oggi non si vince né
diventando “commerciali”, né pretendendo di essere
“pedagogici”. «Rigenera il contesto del discorso e
ricomincia a dire ciò in cui credi» è il
comandamento dibattimentale di George Lakoff, professore di linguistica
all’università di Berkeley. Scriveva Stefano Pistolini, a
conclusione di un recente articolo sul Foglio (con lo sguardo
all’America, ma anche a casa nostra): «se la politica
sopravvive solo attraverso il plasma della comunicazione, il linguaggio
non è più un semplice strumento, bensì la fattuale
chiave di rappresentazione di un intero sistema d’idee. Renderlo
aderente al proprio ritmo ambientale, organico alla cornice di
propagazione e alla descrizione degli stili esistenziali ed etici che
si vogliono conseguire, è la sfida su cui si vince o si perde
nella politica contemporanea».
Sarebbe davvero bello se le telestreet non decollate altrove
decollassero nel Sud, nel meridione disperato e speranzoso dove le cose
non assomigliano mai a loro stesse. Chissà cosa ne uscirebbe. In
fondo, in quanto alle attrezzature, non ci vuole poi molto. Anche
perché il senso di un’operazione del genere esiste solo se
inserito in una rete, come ambiente di scambio e di relazione.
Già adesso TMO dice di voler cominciare una sorta di alleanza
con Tele Akery, storica tv locale (e ora satellitare) di Acerra, con
quell’altro meridionalista mediatico di Tagliamonte (intervistato
sul Brigante di ottobre). Piccole tivù e piccole identità
possono sorreggersi a vicenda: non è un caso se alcune
telestreet italiane (tilt_tv, teleimmagini, speglilatv, insù tv,
ngvision) siano appena andate in Spagna, a Bilbao, per discutere di
mediattivismo e per installare – con un trasmettitore,
un’antenna e due giorni di lavoro – la prima
“telestreet” dei paesi baschi.
Dare vita ad un modo di comunicare nuovo, che appartenga ai cittadini,
è soprattutto un modo per recuperare il “cuore perduto
della sinistra”: «reimparare l’annosa fatica di
convincimento, di conquista ideale, di proselitismo che è sempre
partita da posizioni di svantaggio», come ha scritto Michele
Serra. D’altronde i tempi cambiano, e dunque onore a Ciano per
essere stato il primo a capire che, all’alba del ventunesimo
secolo, l’unico vero potere colonizzatore rimasto, l’ultimo
fortino a cui tentare l’assalto è solo la televisione. E,
forse, ora anche i briganti combattono a colpi di audience.
Oggi TMO – da cui il nostro discorso è partito –
chiede un contributo economico per sopravvivere e sostenersi, e dare
vita a nuovi progetti. E’ stato aperto un conto corrente
pubblico: n° 53906376, è la gara di solidarietà
è già partita. E’ un problema di metodo e
contenuti, quello che abbiamo posto. Ma è anche un problema di
risorse. Basterà citare una vecchia storiella siciliana, che
spiega al meglio la situazione. Ordunque: ci sono due papà, due
magnifici padri siciliani, che nel giorno della cresima dei loro figli
si chiedono reciprocamente quali regali hanno fatto ai propri pargoli.
Uno dice: “Io ci regalai la bella lupara”. L’altro di
rimando: “Io invece un bello orologio d’oro”.
“Ah!”, replica l’altro con tono finto ammirato ma
sarcastico, “e così viene a dire che quando gli diranno
figghio di buttana, iddu giustamente ci risponde che sono le cinque e
mezza”.
Ai sensi della legge n.62
del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e
del web@master.