Riportiamo gli editoriali pubblicati dal "Foglio" diretto da Ferrara, il quale in questi ultimi giorni sia sul giornale che nella trasmissione "8 e mezzo" su La 7 ha cercato di tenere i riflettori sulla Calabria.
VENERDÌ 28 OTTOBRE 2005 | Eppur si muove (la Calabria) |
GIOVEDÌ 27 OTTOBRE 2005 | Sragionare di Calabria |
MARTEDÌ 25 OTTOBRE
2005 |
Le mani
sporche |
SABATO 22 OTTOBRE 2005 | La collusione e la ’ndrangheta |
Francesco Fortugno è stato ammazzato nel Municipio di Locri domenica scorsa e poi seppellito nel pianto della nazione. Si indaga sull’omicidio, della cui caratura politica nessuno dubita.
Fortugno era infatti un esponente della Margherita con fortune elettorali in forte crescita, un primario nell’ospedale di Locri, dove anche la vedova svolge funzioni direttive, e il responsabile della sanità nel partito di governo a cui apparteneva, oltre che vicepresidente del Consiglio regionale.
Nel corso delle indagini, come ha rivelato ieri il Corriere della Sera per la penna di Fiorenza Sarzanini, è riemerso un documento che dimostra contatti telefonici intensi e ripetuti nel tempo della vittima di mafia con il genero del boss Morabito, un medico a sua volta processato e condannato a sedici anni per traffico di stupefacenti dopo essere stato arrestato con il suocero nel febbraio scorso, in Aspromonte, al termine di una lunga latitanza.
Secondo il Corriere, gli inquirenti sono convinti che l’omicidio è maturato in loco, a Locri, e che è legato alla gestione della sanità (appalti, nomine nelle Asl). Ora, il sospetto non è l’anticamera della verità, può esserne anzi la corruzione via depistaggio.
La vedova Fortugno, figlia del deputato e notabile democristiano Mario Laganà, chiede giustamente una verità non inquinata e ridimensiona i contatti telefonici suoi e del suo defunto marito con un medico della ’ndrangheta a ordinaria attività elettorale per l’elezione dell’Ordine regionale dei medici.
Qui ci fermiamo, perché questi sono i fatti, e niente è ancora dimostrato in alcuna direzione di indagine. Il tema della collusione, delle pressioni e contropressioni, della ragnatela che tende ad avvolgere a ogni livello di decenza e di dirittura morale la politica in Sicilia, in Calabria e in Campania, è un tema antico.
Ed è il volto tragico della lotta alla mafia o, se preferite, della repressione criminale del fenomeno mafioso, che è affare di diritto complicato assai dalla politica e dal suo corso patologico in quelle regioni ad alto tasso di criminalità organizzata.
Quando parliamo della necessità di un impegno deciso dello Stato centrale, e con mezzi e misure straordinarie, e dell’insufficienza dell’appello di Beppe Pisanu alla riscossa regionale contro le ’ndrine, di questo anche parliamo.
Anche padri di famiglia che non schiaccerebbero una mosca con la paletta, professionisti che tentano la strada della serietà e dell’integrità, politici che si scelgono un habitat e un modo di essere il più possibile lontani dalla collusione criminale, possono a certe condizioni essere raggiunti dalla tela di ragno e finirne soffocati.
E’ la prova dello stato di sovranità criminale in cui vive un pezzo del paese, e della necessità di spezzare questo dominio con quella saturazione militare o della forza (lo ha detto Marco Minniti, parlamentare serio e coraggioso) che sola può incutere timore alle cosche e liberare tutti, pezzi dello Stato compresi, dalla soggezione alle famiglie mafiose in pieno controllo del territorio, istituzioni comprese.
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