Con
questo dato occorrerà fare i conti volenti o nolenti
perchè la spinta
probabilmente non si risolverà con qualche ampolla d'acqua del
Volturno
- tanto per parafrasare recenti ritualità padane.
Grazie e tornate a trovarci.
La sconfitta imprevista di Catania merita qualche riflessione in più rispetto a quelle proposta sbrigativamente da molti leaders del centrosinistra. E' stato detto che non bisogna confondere l'albero (Catania) con la foresta (il dato elettorale complessivo) e che la tendenza politica non cambia: questo è in gran parte vero.
E poi che a Catania si perde perché in Sicilia è
più difficile, perché c'è la mafia, per il
controllo del voto, perché Musumeci e Lombardo hanno
determinato, anche con la proliferazione di liste, un fenomeno
massiccio e imprevisto: e tutto questo, come giustamente scrive
Francesco Merlo su La Repubblica, è assai meno vero o è
palesemente falso.
Le lezioni siciliane devono partire da dati oggettivi e
incontrovertibili: 1) a Catania l'Unione perde con larghissimo distacco
nel momento più favorevole al centrosinistra dall'inizio
dell'era del maggioritario; 2) non vince Berlusconi e non riprende il
polo nazionale, ma il cosiddetto federalismo e autonomismo –forme
moderne del ben noto sicilianismorappresentano un'alternativa nel
sistema (Raffaele Lombardo chiede più garanzie e più
protezione per la Sicilia a Berlusconi) e non dal sistema; 3) Bianco
perde con una campagna moderata e centrista, giocata sui temi della
sicurezza, e con un profilo scarsamente alternativo (rimando
all'articolo citato di Merlo): l'uomo nuovo (sic!) nel centrosinistra,
già candidato per la Presidenza della Regione il prossimo anno,
è Ferdinando Latteri, senatore eletto nelle file di Forza
Italia; 4) la sinistra nel suo complesso supera di poco l'8%, e i Ds
hanno un clamoroso salasso elettorale; Rifondazione è ai minimi
termini; 5) nei quartieri popolari stravince Scapagnini.
Sono anch'io persuaso, da non siciliano che ha passato cinque anni
straordinari e drammatici in quella terra, che ci sia una
specificità, anche rispetto al resto del Mezzogiorno, che non va
ignorata.
Questa specificità, nel secondo dopoguerra, è stata il
cemento del rapporto tra poteri e classi dirigenti locali e Democrazia
Cristiana (e l'intero pentapartito negli anni 80). Ma questa
specificità è stata colta dall'opposizione, e ha
provocato un vero terremoto politico-amministrativo in un pur breve
periodo (89-93), quando la sinistra (in forme nuove rispetto ai vecchi
partiti, come fu la Rete di Orlando) ha saputo rappresentare nel paese
e nel mondo la questione siciliana come grande questione generale.
Solo in quel momento fu proposto da sinistra un sogno. Ed è col
sogno – anzi, con un libro di sogni - che Berlusconi ha stravinto
per un decennio, tra il 94 e il 2004, puntando larga parte della sua
forza su questa specificità. Ora l'illusione berlusconiana
è finita, ma il centrosinistra in Sicilia, a differenza dal
resto del Mezzogiorno, non sembra capace a sua volta di suscitare un
sogno, una speranza, un orizzonte.
E così, quando il vecchio muore e il nuovo non nasce ancora,
quel vuoto politico e ideale cerca protezioni immediate. I Lombardo, i
Musumeci, i Cuffaro entrano come caterpillar in quel vuoto. Non faranno
sognare più lavoro per tutti, ma una vicinanza e una
solidarietà, fatta sì di pizzini e di favori, ma anche di
strette di mano e di capacità di comprensione.
Questo, sinceramente, non è solo un problema siciliano, è
una grande problema meridionale. Ma altrove, dove la sinistra non sta
granché meglio, il vuoto è stato riempito, spesso
all'ultimo e in modo fortunoso, con una proposta forte e visibile
(Vendola, in primis).
Quali sono allora le lezioni siciliane? La prima è che non solo
le elezioni politiche non sono già vinte, ma nei prossimi mesi
nel mezzogiorno, che fin qui ha girato le spalle a Berlusconi, ci
giocheremo larga parte del nostro futuro.
Il voto meridionale non è un voto di convinto consenso a un
centrosinistra migliore rispetto a quello siciliano, è spesso un
voto in prestito -che se ne può andare così come è
venuto- dato a personalità che interpretano un bisogno di
alternativa.
Di Lombardo e di Musumeci ce ne sono anche altrove, e la destra
potrebbe cercare di mettere in campo una forma di leghismo sudista. E
noi? L'anno scorso in Sicilia il successo straordinario di Claudio Fava
alle europee aveva qualcosa di anticipatore rispetto a quello odierno
di Vendola. Il problema siciliano e meridionale è quello della
diversità, dell'alternatività della nostra proposta
rispetto a quella berlusconiana, della capacità di far vedere un
orizzonte, di suscitare energie, di produrre speranze e, appunto,
sogni. Il latterismo porta invece alla sconfitta, così come ogni
trasformismo, ogni corsa al centro, ogni diluizione della visione
distinta - di un vero e proprio progetto di società- della
sinistra e dell'Unione.
Non è che al Cep di Bari la sinistra sia molto più
radicata rispetto a Librino a Catania: è che lì ha
incontrato Vendola che parlava agli ultimi, del loro riscatto, dei loro
problemi - salute, casa, salario, diritti-; a Catania non ha proprio
visto nessuno nei volti di un potere lontano e freddo.
Ora mantenere il consenso in Puglia e altrove, e conquistarlo in
Sicilia è possibile solo a condizione che l'Unione nei suoi
discorsi, e nel suo agire, non assomigli, magari in forma più
edulcorata, agli altri: e che faccia della questione sociale, del
riscatto e della rappresentanza della fasce medio-basse, il cuore della
propria azione.
Serve poco stare in un mercato in campagna elettorale se non si
è davanti allo stabilimento di Melfi o a Scanzano quando
c'è la lotta. Occorre ammetterlo: i Lombardo sono più
vicini al popolo - in forme discutibili- di quanto non lo sia tanto
centrosinistra senz'anima, un po' salottiero e molto politique
politicienne, in tutte le sue espressioni, moderate o verbalmente
estremiste.
La seconda lezione è che, almeno fin qui, il teorema del prof.
Sartori secondo cui vince chi compete al centro è stato
smentito. Anzi: a Catania succede il contrario. Attendendo le
valutazioni di Sartori sull'evento, rimane il fatto che occorre
scegliere le candidature più marcate e più nette.
Non è detto che siano sempre quelle più di sinistra, ma
certo sostenere l'opposto è molto arduo. Eviterei di candidare
Latteri alla Presidenza della Regione il prossimo anno. Se si insiste,
proporrei che in Sicilia si ripetessero molto presto quelle primarie
sul candidato (Claudio Fava, perché no?) che in Puglia ci hanno
indicato una strada vincente. E magari nei sessantuno collegi
siciliani, mi muoverei con la stessa logica. L'Unione che vince, in
Sicilia è più che altrove, è quella che indica
un'alternativa chiara.
Insomma, se è vero che non abbiamo ancora vinto in Italia,
è anche vero che in Sicilia (dove è ora in vigore una
sciagurata legge elettorale voluta non a caso anche da chi, nel nostro
campo, corre al centro) non abbiamo già perso le elezioni del
2006. Dipende solo dalla nostra capacità di capire che la
lezione pugliese è una lezione per l'Italia ed è anche
una lezione per la Sicilia.
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