Con
questo dato occorrerà fare i conti volenti o nolenti
perchè la spinta
probabilmente non si risolverà con qualche ampolla d'acqua del
Volturno
- tanto per parafrasare recenti ritualità padane.
Grazie e tornate a trovarci.
Lombardo e Cuffaro consegnano la testa di Follini a Berlusconi. Si prendono in cambio la Cdl siciliana Catania. Certo, se la matematica non c’inganna, il grande vincitore è lui: Umberto Scapagnini, riconfermato sindaco di Catania contro ogni previsione, contro ogni sondaggio, contro ogni uccellaccio di malaugurio che il “partito della sconfitta” aveva fatto svolazzare qui, all’ombra dell’Etna, con la segreta speranza di sotterrare il centrodestra e, con il centrodestra, Silvio Berlusconi.
Ma se provi a raffreddare poco poco gli entusiasmi
dell’ultim’ora e a scalfire la crosta zuccherosa che
dall’altra notte avvolge il 52,2 per cento ottenuto lunedì
dal candidato del Polo, scopri che la cassata siciliana nasconde un
impasto forse più intrigante e sostanzioso. Altro che ricotta e
canditi.
E’ l’impasto “autonomista” cucinato per
Scapagnini, ma soprattutto per il Cav., da due cuochi di eccezionale
furbizia e di innumerevoli clientele: Raffaele Lombardo e Totò
Cuffaro – uno presidente della Provincia, l’altro
governatore della Regione siciliana – che su Catania hanno voluto
sperimentare la possibilità di staccarsi definitivamente dalla
casa madre, l’Udc, e di mettersi in proprio. Ci sono riusciti,
eccome.
E sono le cifre a dimostrarlo: le quattro liste presentate da Lombardo
hanno raccolto il 20,4 per cento. Che, messo a confronto con il 4 per
cento ottenuto dai fedelissimi di Follini e Casini o con il 16,2 per
cento di Forza Italia, appare un’enormità. “Un
risultato mostruoso”, gridava l’altra notte Lombardo,
rispondendo agli abbracci e ai baci di Cuffaro. “Se non fosse
stato per voi, col cazzo che avrei vinto”, gli faceva eco
dall’altra stanza Scapagnini, già fradicio di sudore e di
champagne.
Un risultato così vistoso non lascia più spazi al dubbio:
da ora in poi la scialuppa siciliana degli “autonomisti”
seguirà la propria rotta. “Con l’Udc stiamo seguendo
strade separate, senza rancori e risentimenti”, ha annunciato
ieri Lombardo. E per Follini sarà il crollo di ogni
velleità. Il “granaio” siciliano ha finora garantito
all’Udc la possibilità di attestarsi, su scala nazionale,
oltre il 6 per cento. Se i voti di Lombardo e Cuffaro finiranno in
un’altra bisaccia, la forza contrattuale del partito potrebbe
precipitare al 3,5.
“Non gli resteranno che gli occhi per piangere”, annota il
professore Alfredo Carabillò, docente di Filosofia della Storia
e attento osservatore delle vicende politiche, al di qua e al di
là dello Stretto. E così dicendo ricorda tutti i
tentativi fatti sin qui da Follini per sbarrare la strada non solo a
Cuffaro, ma soprattutto a Lombardo: prima gli ha appiccato il fuoco
della rivolta interna, quella dei quarantenni; poi, quando Berlusconi
si era finalmente deciso a nominarlo ministro, Follini ha messo il veto
e ha imposto Mario Baccini. Sono cose che non si dimenticano”.
La scivolata orlandista di Bianco
E Lombardo non ha dimenticato. “Però, attenzione: se Follini piange, siamo certi che Berlusconi rida?”, si chiede il professore Carabillò. La campana della vittoria catanese ha certamente allontanato ogni uccellaccio del malaugurio e ha costretto il “partito della sconfitta” a raggomitolare, almeno per il momento, i fili di tutte le trame tese a disarcionare il Cavaliere da palazzo Chigi.
Ma una campana non fa primavera e meno che meno una pasqua di
resurrezione. La bandiera dell’autonomia –“ammaliante
per quanto si vuole, ma sempre infida”, osserva Carabillò
– comincia a slabbrarsi. Rischia di comprendere troppe cose e di
nascondere troppe ambizioni.
La scialuppa sicilianista è sempre più affollata di
dissidenti e naufraghi, di contestatori e trasformisti. L’ultimo
arrivato è Nello Musumeci, 117 mila preferenze alle ultime
elezioni europee, fino all’altro ieri tra i fedelissimi di
Gianfranco Fini e oggi tra quelli che rivendicano dal partito maggiore
libertà di movimento. Se si sommano i suoi voti a quelli di
Lombardo e Cuffaro, la forza degli “autonomisti” potrebbe
sfiorare in prospettiva il 30 per cento. “Insieme – spiega
Carabillò – rischiano di diventare una straordinaria
macchina di pressione. O di ricatto”.
Parola grossa, non c’è che dire. “Ma
l’esperienza insegna che alla base di questi gruppi
c’è spesso la logica dei due forni: oggi governo con
Berlusconi, domani forse con Prodi. Sempre in nome
dell’autonomia”. La prova sta nel fatto che il risultato di
Catania accelera un altro appuntamento: le elezioni regionali. Secondo
la scadenza naturale dovrebbero svolgersi in contemporanea con quelle
nazionali, giugno del 2006. Ma Cuffaro ha detto che si dimetterà
in anticipo, per far sì che i siciliani vadano a votare in
aprile.
Ufficialmente, così sostiene, “per tirare una bella volata
a Berlusconi”. In realtà per segnare sull’asticella
un’altra vittoria e trattare col Cav. – da una posizione di
maggiore forza – l’assegnazione dei collegi.
“E’ la strategia dell’istrice: prima chiede
ospitalità alla talpa e poi si allarga fino a che non diventa il
vero padrone della tana”, sentenzia il professore
Carabillò. “E’ vero che gli autonomisti, con le
elezioni di Catania, hanno portato in dono a Berlusconi la testa di
Follini. Ma è altrettanto vero che da ora in poi penseranno
soltanto a come impadronirsi della Casa delle libertà. Vedrete:
prima o poi chiederanno le chiavi e poi vorranno forse cambiare pure la
serratura. Fossi io al posto di Berlusconi comincerei a
preoccuparmi”.
L’altro elemento da non sottovalutare, per la Casa delle
libertà e Forza Italia in particolare, dovrebbe essere quello
che i dirigenti siciliani della Margherita chiamano ormai “il
fattore Bianco”, un fattore che in futuro difficilmente
potrà riproporsi. Lo sfidante di Scapagnini è arrivato
all’appuntamento elettorale con la baldanza di un sondaggio che
lo dava vincente addirittura al 61 per cento. E parlando e
straparlando, si è via via abbandonato a un linguaggio che, nei
toni e nei temi, ricordava sempre più Leoluca Orlando, il
sindaco che negli anni Ottanta, assieme ai gesuiti di padre Pintacuda,
sognava di trasformare Palermo in un grande Ucciardone e di instaurare
la repubblica delle forche.
Quando a Enzo Bianco fu chiesto perché tornava a candidarsi a
Catania, lui rispose: “Mia moglie voleva che provassi a fare il
presidente della Regione; ma lì c’è il
core-business della mafia; mi ammazzerebbero dopo sei mesi”. Poi
tracciò l’organigramma: “Se a Catania vinco io,
l’anno prossimo avremo Romano Prodi a Palazzo Chigi, Leoluca
Orlando di nuovo sindaco di Palermo, Ferdinando Latteri presidente
della Regione”.
Un errore di grammatica, uno scivolone, uno sbandamento politico buono
solo per spaventare i moderati e che i compagni della Margherita ancora
non gli perdonano. “Si è ubriacato prima di bere”,
dice Carabillò. E questo i sondaggi non potevano prevederlo. (g.
sot.)
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