Dell'organizzazione della società meridionale e quindi del Regno delle Due Sicilie che ne fu espressione, se ne ha generalmente un'idea confusa ed intrisa di preconcetti e luoghi comuni. La propaganda risorgimentale ed unitaria, ha accreditato, anche sul piano storico-sociologico, la tesi di un popolo meridionale portatore di disvalori civici quali l'improvvisazione, il clientelismo e la corruzione.
Attraverso le scuole, l'università, la pubblicistica ed un
apparato organico d'intellettuali funzionali, si è conculcata,
generazione dopo generazione, l'idea di un'inferiorità
“genetica” degli uomini e donne del Sud ad organizzarsi
amministrativamente, economicamente e politicamente. L'intento, dopo la
repressione militare, l'emigrazione e il depauperamento economico, fu
quello di operare un ulteriore genocidio culturale per imporre il
modello vincente di marca piemontese ed impedire la rinascita di
qualsiasi domanda autonomista nei territori dell'ex Regno delle Due
Sicilie.
La profondità di un tale condizionamento, ha trasformato due
luoghi geografici, il Nord ed il Sud, in altrettante espressioni di
alterità.
Ad un Nord moderno, industriale, produttivo ed efficiente, si
contrappone un Sud tradizionale, agricolo ed inefficiente. Su questo
bipolarismo del sistema paese, si sono innestate centoquarantasei anni
di polemiche politiche e culturali sul ruolo del Mezzogiorno.
Dal Meridionalismo d'opposizione rivoluzionaria di Gramsci o Dorso, a
quello di Don Sturzo che vedeva nel Sud il depositario dei valori
tradizionali, dalla negazione di una questione meridionale, secondo
l'idea del fascismo, al patto costituzionale repubblicano, dalla
politica dell'intervento starodinario, alle riconversioni industriali
della fine degli anni settanta, dal liberismo degli ultimi quindici
anni, alle caricature costituzionali di marca “federalista”
(a sinistra) e “devoluzionista” (a destra), le classi
politiche del Mezzogiorno sono state il recettore passivo di un ruolo
costruito altrove.
Il Sud, nella sua lunga storia sociale e politica, ha sempre avuto
nelle sue avanguardie intellettuali i più accaniti carnefici,
un'universo di pensiero che guardava lontano dimendicando ciò
che gli stava attorno, un fervore della ragione, così ardente,
da bruciare sulla pira purificatrice del progresso l'identità e
l'autonomia di un'intero popolo, delatori di anime che conoscendo ogni
piega della carne meridionale, l'hanno consegnata nelle mani di
implacabili torturatori.
Il rivendicazionismo regionalista è ciò che rimane di una
promessa mai mantenuta di dignità, esso è espressione di
un “meridionalismo” degenere, eretto a sistema di governo
clientelare che ha allontanato da se ogni visione d'insieme, ogni
originale elaborazione progettuale, ogni ipotesi di un autonomo modello
di sviluppo che potesse essere coerente per l'intero meridione e quindi
efficace.
Proporre la storia, l'organizzazione, i costumi delle terre che
costituirono il Regno delle Due Sicilie, è uno degli strumenti
che come donne e uomini del Sud ci siamo dati per riappropriarci della
nostra identità. Recuperare la coscienza di un Se
“collettivo”, di “popolo”, è una
condizione ineludibile per la qualificazione di una classe dirigente
autenticamente espressione degli interessi del Sud. I nostri critici
spesso ci additano come “passatisti”, come coloro che
nostalgicamente propongono un'epoca condannata, giustiziata e sepolta
dalla storia.
A costoro noi rispondiamo che se condanna ci fu, essa fu emessa senza
un regolare processo e quindi l'esecuzione fu un assassinio. La storia
poi, non possono farla gli assassini, i parenti delle vittime alla fine
chiederanno conto e giustizia di quello che dovettero subire i padri.
Ecco, quello che chiediamo, è giustizia per il nostro passato e
diritto al nostro futuro, senza più essere il Sud di un
impossibile Nord.
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