Il Mezzogiorno d’Italia è oggi il luogo dove - più che altrove, più che in altri comparti o settori - più significativo e imperdonabile è lo spreco di risorse pubbliche. Dove - al di là delle intenzioni, spesso nobili, di tanti - lo sforzo collettivo ha raggiunto dimensioni inusitate senza conseguire risultati apprezzabili. E dove, al tempo stesso, un uso, per così dire, particolarmente "disattento" di consistenti risorse pubbliche si associa a gravi carenze nella fornitura dei servizi che dovrebbero costituire invece la stessa ragion d’essere del settore pubblico. Dove, in altre parole, ogni fonte di finanziamento - ogni euro, ogni centesimo di euro - dovrebbe essere allocata e spesa come se fosse l’ultima e viene invece utilizzata come se fosse solo una parte di una serie mai terminata e che mai terminerà.
Più di 55 miliardi di euro in sette anni
Fra il 1998 - anno di avvio della stagione di politiche
regionali che va sotto il nome di "nuova programmazione" - e il 2004, si sono
riversati sul Mezzogiorno, in termini reali, qualcosa come 120 miliardi di euro
di spesa pubblica in conto capitale. Per calcolare la spesa
pubblica in conto capitale specificamente destinata al Mezzogiorno, togliamo da
questa cifra (i 120 milioni di cui alla frase precedente) una somma pari a
quella che il Mezzogiorno avrebbe comunque ricevuto come parte del territorio
nazionale, cioè pari a quanto storicamente osservato nello stesso periodo al
Centro-Nord in percentuale sul prodotto. Ne risulta una spesa pubblica in conto
capitale specificamente dedicata al Mezzogiorno valutabile in poco più di 55
milioni di euro sul periodo specificamente dedicata al Mezzogiorno è
valutabile in poco più di 55 miliardi di euro sul periodo 1998-2004 ai
prezzi del 1995. Un ordine di grandezza più che significativo non solo in
termini assoluti ma anche in termini relativi. Per intendersi, si tratta di
circa tre volte lo stanziamento previsto nel 1950 al momento del varo della
Cassa del Mezzogiorno per i primi sette anni di operatività di
quell’ente. Poco meno del 40 per cento di quanto speso dalla Cassa per il
Mezzogiorno, prima, e dall’Agenzia per la promozione dello sviluppo nel
Mezzogiorno, dopo, nei quasi quarant’anni di vita dell’intervento straordinario.
Se poi i termini di paragone storici non sono sufficienti, non mancano
quelli attuali. E non sono meno sconcertanti. Il volume di spesa pubblica in
conto capitale riversatasi sul Mezzogiorno fra il 1998 e il 2004 è pari al 40
per cento del costo del programma di grandi opere approvato dal Comitato
interministeriale per la programmazione economica nel dicembre 2001. Più precisamente i citati 55 miliardi
di euro sono molti prossimi alla spesa prevista dal primo programma di
infrastrutture strategiche della legge-obiettivo nel Mezzogiorno. Anche se si
desse per scontata – ed è fuor di dubbio che lo si debba fare - una
significativa sottostima nelle indicazioni della legge-obbiettivo, il raffronto
fra quel che poteva essere fatto e quel che non è stato fatto rimane
impressionante.
I problemi restano
Sette anni sembrano essere passati, peraltro, pressoché invano.
La debole crescita meridionale degli ultimi anni si rivela infatti come
sospinta da una spesa pubblica di bassa qualità che non riesce a tradursi in
fattore strutturale di crescita e in potenziale di sviluppo. Una crescita in
termini pro capite dovuta in larga misura all’operare, da qualche anno,
di processi migratori interni di significativa intensità e non lontani,
nell’ultimo quinquennio, da quelli registrati negli anni Cinquanta. Una crescita
addirittura inferiore a quella che la stessa "nuova programmazione" stimava come
probabile in assenza di un miglioramento della qualità degli investimenti
pubblici.
Le distanze fra il Centro-Nord e il Sud del paese sono
rimaste, nel complesso, inalterate (e, se qualcosa è accaduto, è che l’economia
meridionale è diventata, in questi anni, molto meno competitiva e un po’ meno
dipendente). Se ci si aspettava che gli interventi adottati nell’ambito delle
azioni previste dal Piano di sviluppo del Mezzogiorno - in cui, nel 1999,
si tradusse formalmente la "nuova programmazione" - inducessero visibili
elementi di discontinuità nel contesto socio-economico meridionale, ebbene, si è
atteso a vuoto. Se ci si aspettava che la politica degli investimenti pubblici
avesse un impatto significativo sulle "variabili di contesto" in modo tale da
modificare strutturalmente il processo di accumulazione del settore privato,
ebbene ciò non è avvenuto.
Sotto tutti i principali punti di vista, il
Mezzogiorno è e rimane, oggi come ieri, il "malato d’Italia". La
differenza – se se ne vuole trovare una, e non piccola – è che oggi,
diversamente da ieri, l’Italia è il "malato d’Europa".
Dopo dieci anni
segnati dalla retorica del definitivo superamento dell’intervento
straordinario, da un lato, e dei Mezzogiorni, dall’altro, forse è
arrivato il momento di riconoscere le difficoltà che questa ha generato: la
frantumazione dell’intervento pubblico, la moltiplicazione dei livelli di
intermediazione, la sproporzione fra l’impegno massiccio di energie e di risorse
e l’esiguità dei risultati. Forse è arrivato il momento, prima ancora che
tornare a discutere delle politiche per il Mezzogiorno, di mettere in
discussione il nostro stesso modo di guardare al Mezzogiorno.
* Anticipazione del libro di Nicola Rossi "Mediterraneo del Nord", Laterza Editori, che uscirà nei prossimi giorni.
Tanti soldi al Sud; e tutti sprecati. Questa la tesi di Nicola
Rossi, subito ripresa dalla stampa nazionale. A mio avviso, lontanissima dalla
realtà.
Tanti soldi? E’ facile calcolare che: la quota Sud della spesa
ordinaria in conto capitale è ben al di sotto di quel 30% ritenuto equa via di
mezzo fra quota Sud della popolazione e del prodotto (difficile condividere
l’idea che la quota debba essere solo proporzionale al prodotto); quindi la
spesa aggiuntiva nazionale (FAS, a norma del 119.V Cost) è solo sostitutiva di
mancata spesa ordinaria; l’unica spesa aggiuntiva è quella dei fondi europei.
Quindi la quota totale Sud è al 38% quando dovrebbe essere, DPEF alla mano, 45%.
Ma metà è fatta da incentivi (un quarto al Centro-Nord). Quindi la spesa pro
capite per investimenti pubblici è inferiore alla media nazionale. E il gap
territoriale nei beni e servizi pubblici si allarga.
Tutti sprecati? RFI e ANAS spendono virtuosamente al Nord e malamente al Sud? Ogni politica regionale e urbana al Sud è immancabilmente spreco? Ciò che spiega successi e fallimenti non sono scelte politiche e capacità tecniche ma solo la meridionalità dei soggetti o dei progetti? Difficile convenire. La realtà mostra, anche al Sud, buone e cattive pratiche. E per la politica economica è, a mio avviso, molto più importante capire ciò che le determina che tornare comodamente a descrivere il Mezzogiorno come un luogo buio, in cui tutti i gatti sono, sempre, immancabilmente, neri.
Gianfranco Viesti
Il Mezzogiorno non è un luogo buio in cui i gatti sono immancabilmente neri. Il Mezzogiorno è, molto più semplicemente, la vittima delle politiche che a partire dalla fine del 1997 vi sono state attuate.
Quelle
politiche avevano legato il loro destino ad alcuni indicatori – le cosiddette
"variabili di rottura" – la cui evoluzione avrebbe dovuto sancirne il successo.
Gianfranco Viesti – che di quelle politiche è stato uno dei principali
ispiratori – vorrà certamente aiutarci a capire come mai non uno (ripeto, non
uno) di quegli indicatori segnala negli ultimi sette anni una riduzione delle
distanze fra il Sud ed il Centro-nord del Paese. I risultati di quelle politiche
, per quanto possibile, sono stati riportati in due utilissime pubblicazioni del
Ministero dell’economia che elencano le opere realizzate nel Mezzogiorno con
fondi nazionali o comunitari. Gianfranco Viesti – che con le strutture di quel
Ministero ha a lungo collaborato – vorrà certamente aiutarci a capire come mai
una ispezione in loco di alcune di quelle stesse opere porta a concludere che
opere che dovevano essere realizzate non lo sono state affatto, o lo sono state
con enorme ritardo o, ancora, in modo difforme rispetto alle originali
intenzioni. Per i dettagli rinvio al mio "Mediterraneo del Nord" (Laterza,
2005).
E’ singolare – ed anche su questo punto sarebbe importante sentire l’opinione di Gianfranco Viesti - che una strategia di intervento per il Mezzogiorno come quella avviata sul finire del 1997 (così massicciamente fondata sul monitoraggio, sulla valutazione e sulla sanzione) abbia fino ad ora rifiutato di sottoporre se stessa ed i propri risultati agli stessi principi cui essa si è ispirata e si ispira tuttora.
Ci sentiamo in dovere di manifestare pubblicamente il nostro apprezzamento per la scelta fatta dai responsabili del sito https://www.lavoce.info/ di mettere a disposizione del popolo della rete gratuitamente un materiale documentario ormai universalmente giudicato di alto valore cullturale. |
Ai sensi della legge n.62
del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e
del web@master.