L’enfasi è spesso in agguato nel commentare i momenti topici della vita politica italiana. Per quanto la sobrietà sia da preferire all’enfasi devo ammettere che nella riunione di ieri dei Presidenti delle Regioni meridionali si respirava un’aria da “evento”; un evento con cui la politica italiana dovrà misurarsi nel prossimo futuro. Cinque anni fa, ad Eboli, si riunirono i candidati Presidenti delle Regioni meridionali appartenenti al centrosinistra. Ieri a Napoli si sono invece riuniti tutti i Presidenti, compresi quelli della Sicilia e del Molise dove non si è votato e dove restano in carica coalizioni di centrodestra.
Il documento che fu approvato cinque anni fa era intitolato “Per
un meridionalismo della responsabilità e
dell’autogoverno” e credo che ancora oggi potrebbe essere
la piattaforma ideale e programmatica della macroregione meridionale.
In quel documento era già presente la proposta di un
coordinamento permanente delle Regioni meridionali come strumento di
consultazione, di orientamento e di centro propulsivo di una
progettazione comune. Oggi finalmente si realizza. Peccato che non sia
stato possibile organizzarlo prima: il Sud, forse, non avrebbe
registrato in questi anni il più basso indice di interesse
politico nella storia unitaria del Paese. Questo è il prezzo
altissimo fatto pagare al Mezzogiorno dal centrodestra italiano per
l’alleanza con la Lega.
Vorrei ora suggerire un promemoria per il coordinamento delle
Regioni,appena nato, e che vedrà il suo primo appuntamento
ufficiale tra un mese in Abruzzo.
1 - L’esigenza fondamentale, alla base dell’incontro di
ieri, è il forte bisogno di una politica nazionale per il
Mezzogiorno. Nessuno può mettere in discussione la
necessità di interventi di indirizzo e di sostegno dello Stato
italiano verso il Mezzogiorno. Non va dimenticato che gli attuali
squilibri strutturali tra Nord e Sud sono sicuramente espressione di
una sostanziale inefficacia delle politiche pubbliche, ma sanciscono
anche il fallimento del mercato come unico riequilibratore di aree in
ritardo di sviluppo. Il liberismo italiano ha registrato nel Sud uno
dei suoi principali insuccessi. È bene non dimenticarlo. Eppure
sappiamo che il Mezzogiorno non può rappresentare se stesso solo
come un luogo di guai e disperazione. Un Sud che trasmette di sé
un’immagine negativa alla fine rafforza l’idea,
nell’opinione pubblica nazionale, che si tratti di una questione
irrisolvibile e di cui, dunque, è meglio disinteressarsi o
liberarsi. Invece, la giusta richiesta di una politica nazionale per il
Mezzogiorno deve coniugarsi con un’altra immagine: quella di un
Sud che non scarica su altri le proprie responsabilità ma si
rimbocca le maniche. Un Sud che quando chiede sostegno ad altri parte
prima da se stesso, con una sana e orgogliosa fiducia nei propri mezzi
e nelle proprie possibilità. Perciò è importante e
fondamentale che i Presidenti assicurino innanzitutto un buon governo
nelle loro Regioni e che tutti assieme possano realizzare buone
politiche sui loro territori.
Insomma, l’aiuto dello Stato è fondamentale, ma è
ancora più fondamentale il buon governo meridionale. L’uno
non può fare a meno dell’altro.
2 - Il Sud è sempre stato “oggetto” di politiche
pubbliche, mai “soggetto” determinante di esse. Oggi la
forza del Mezzogiorno, il suo principale capitale, consiste in una
soggettività conquistata sul campo e con il voto. La riunione
dei Presidenti ha dimostrato che oggi ci sono le gambe, le braccia e i
cervelli su cui appoggiare le politiche pubbliche, in modo che queste
possano accompagnare la soggettività del Mezzogiorno e non
sostituirsi ad essa. C’è stata una nobile tradizione
centralista nella cultura meridionale: cambiare dall’alto e
dall’esterno una società e un’economia che
sembravano restie, dall’interno, a modifiche strutturali.
È su questa tradizione che si è costruito un modello di
intervento basato nei fatti sull’irresponsabilità delle
classi dirigenti locali, sulla dipendenza dall’esterno,
sull’affidarsi ad altri, sulla passività economica e
produttiva, sull’irresponsabilità civile. È
decisivo fare incontrare la responsabilità delle classi
dirigenti locali con un intervento pubblico di qualità che non
alimenti la dipendenza e la passività, ma incoraggi
l’autogoverno. Su queste basi, e solo su queste basi, il
federalismo può essere rilanciato e non rinnegato.
3 - La Padania è un’invenzione, il Mezzogiorno
d’Italia è invece una realtà storica, geografica e
politica da diversi secoli. Proprio perché il Mezzogiorno
è stato prima di altri uno Stato unitario, il regionalismo ha
avuto più difficoltà ad affermarsi come dimensione
identitaria per le popolazioni amministrate, cosa più semplice
in realtà dove nei secoli passati la dimensione statuale era
identificata in territori più ristretti (Piemonte, Lombardia,
Veneto, Toscana). Anche questo aspetto (naturalmente non da solo) ha
condizionato nel recente passato la vita stentata delle Regioni
meridionali. Oggi ci sono le condizioni per cambiare definitivamente
passo. Immaginarsi come macroregione è un dato politico
importante. Il coordinamento delle Regioni meridionali non può
certo ignorare la storia unitaria che abbiamo alle spalle, ma
ciò non è e non dovrà mai essere fattore di
contrasto con il futuro unitario della nazione.
4 - Essere meridionali ed essere europei nella lunga storia del
Mezzogiorno ha sempre rappresentato la stessa cosa. L’apertura
all’Europa contraddistingue di più le classi dirigenti del
Mezzogiorno rispetto a molti settori politici ed economici del Nord.
L’Europa oggi non può deludere il Sud. Deve avvertire la
disoccupazione giovanile e femminile come la più grave malattia
dell’economia europea e aiutare gli Stati nazionali a combatterla
dove essa si manifesta in maniera più aggressiva. Se non
sarà così, l’Europa avrà poco da dire al Sud
d’Italia.
5 - È vero, non esiste una contrapposizione tra allargamento
dell’Europa verso est e la difesa degli interessi delle regioni
meridionali, tra allargamento e una più stretta integrazione
dell’Europa con l’insieme dell’area mediterranea.
Solo che finora la prima politica, quella dell’allargamento verso
est, è stata predomiunante. Non si vede ancora traccia della
seconda. Investire di più nel ruolo che l’Europa
può svolgere nel Mediterraneo è
un’opportunità oltre che una consuetudine della storia. Il
compito è arduo, complesso ma è anche un obiettivo che,
se avviato, può ridare centralità alle Regioni
meridionali dell’Italia. È indubbio che solo mettendo in
comunicazione tutte le sponde di questo mare, tutte le diverse culture,
tutte le diverse economie, il Sud potrà svolgere un ruolo non
“gregario” nella storia futura. Per questo è giusto
che gli investimenti infrastrutturali nelle nostre Regioni si debbano
caricare di due ambizioni. La prima è quella di collegare le
Regioni meridionali tra di loro, rendere più corte le distanze
interne e più agevoli gli spostamenti, lavorando su direttrici
di trasporto che uniscono molto di più che nel passato il
Tirreno, lo Ionio e l’Adriatico. L’altra ambizione è
quella di fare da sponda verso gli altri paesi del bacino del
Mediterraneo. Abbiamo già visto cosa vuol dire investire sulla
posizione baricentrica nel Mediterraneo delle nostre Regioni. Lo
dimostra il successo del porto di Gioia Tauro. Bisogna tenacemente e
testardamente proseguire su questa strada. Le infrastrutture del futuro
dovranno essere costruite sia guardando verso il Nord, sia guardando
verso il Sud e oltre il mare. Costruire aeroporti internazionali, basi
logistiche per lo spostamento di merci e persone (per mare, per cielo e
per terra) sarà sempre più decisivo per conquistare quei
mercati. Vogliamo che nella politica estera dell’Italia e
dell’Europa sia combattuta quella specie di ossessione magnetica
che spinge a pensare che il baricentro del mondo sia tutto al Nord.
Perciò le Regioni meridionali debbono concordare con il governo
italiano una politica estera che giochi con più forza e coerenza
del passato la carta dell’incontro con gli altri popoli del
Mediterraneo. E, in attesa che si realizzi una nuova politica estera
nazionale, avviarne una comune meridionale.
6 - Bisogna trasformare la pubblica amministrazione delle Regioni del
Mezzogiorno, rompere l’identificazione tra Sud e burocrazia
inefficiente, inefficace e corrotta. Con il buon uso dei Fondi
comunitari si sta lentamente invertendo la tendenza, ma siamo ancora
lontani dalla svolta. La sfida nella competizione con gli altri
territori italiani ed europei sta anche nel riorganizzare e
semplificare gli apparati burocratici per metterli al servizio dei
cittadini e delle imprese. Le diverse capacità amministrative
saranno un elemento fondamentale di questa sfida. Resta ancora
indispensabile integrare le migliori energie già presenti
all’interno delle nostre amministrazioni con l’immissione
di figure professionali tra le migliori esistenti nel Sud e in Italia.
È con l’aiuto di queste persone, capaci e competenti, che
si deve fare squadra per promuovere una nuova immagine del Sud che
spezzi ogni legame o identificazione con una burocrazia oscura e
tortuosa.
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