Roma, 24 febbraio 2005
L’ISAE presenta oggi il terzo Rapporto sull’attuazione del Federalismo, strutturato in sette capitoli.
Il Rapporto prosegue sulla strada tracciata gli scorsi anni offrendo un’analisi integrata delle diverse problematiche concernenti la transizione verso un sistema di tipo federale, come disegnato dal Titolo V, seconda parte, della Costituzione repubblicana, e dal disegno di legge costituzionale attualmente all’attenzione del Parlamento.
Il Capitolo 1 (“La ripartizione delle competenze legislative tra diversi livelli di governo: le ipotesi del disegno di legge costituzionale”) prende in esame la nuova ripartizione di competenze legislative prevista dal nuovo DDL di ulteriore riforma della seconda parte della Costituzione.
Il DDL, come è noto, rende materia di esclusività legislativa regionale le tre materie riguardanti l’assistenza e organizzazione ospedaliera, l’organizzazione scolastica e la polizia amministrativa regionale e locale.
Al tempo stesso, il DDL conduce alla competenza esclusiva statale un congruo numero di rilevanti materie attualmente di carattere “concorrente”: ad esempio, grandi infrastrutture, energia, tutela della salute.
La risultante delle riflessioni sollecitate dalle innovazioni appena accennate sembra convergere, seppure in modo moderato, verso un assetto nel quale le competenze regionali si muovono in misura maggiore all’interno di coordinate normative più condizionate dalla presenza delle regole generali fissate dallo Stato.
Il Capitolo 2 (“L’impatto finanziario del decentramento di competenze disposto dall’art. 117 della Costituzione”) aggiorna l’esercizio di quantificazione già sviluppato nei precedenti Rapporti. Le stime proposte mirano a definire l’entità dello spostamento di risorse dallo Stato verso le Autonomie Locali in attuazione del Titolo V vigente, nell’ipotesi di invarianza della spesa pubblica complessiva (assenza di “costi aggiuntivi”).
Le cifre che sintetizzano il riassetto dei poteri di spesa sono le seguenti, con riferimento all’anno 2003:
§ la nuova spesa decentrata della P.A. locale a seguito del trasferimento di competenze prima gestite dallo Stato ammonta a 69 miliardi di euro;
§ l’aumento delle risorse autonome (tributi propri, compartecipazioni a imposte erariali, quote del fondo perequativo) implicato dal riassetto delle competenze (necessario per finanziarie sia la nuova spesa decentrata – i 69 miliardi appena visti - sia quelle spese locali oggi finanziate da trasferimenti dello Stato) è di 169 miliardi di euro.
Il capitolo costruisce uno scenario finanziario virtuale sulla dimensione del federalismo per tutto il periodo 1999-2003.
L’osservazione principale desumibile da tale scenario è che al decentramento di competenze si associa una crescita sensibile delle spese nel corso del quinquennio (sanità, assistenza e istruzione, sollecitate da aspetti strutturali). La tendenza alla crescita nel tempo di tali spese si riverbera sul sistema di finanziamento, al quale spetta l’onere, anche in un’ottica dinamica, di assicurare la copertura delle spese complessive.
Il Capitolo 3 (“Opportunità e problemi derivanti dal decentramento del prelievo fiscale in Italia”) analizza la problematica del sistema di finanziamento, ponendo a confronto la serie storica della spesa complessiva “virtuale” del periodo 1999-2003 con gli andamenti expost, opportunamente regionalizzati, di una serie di fonti di entrata.
Emergono alcune indicazioni da interpretare con cautela, ma di cui sarebbe errato non tenere conto.
Il problema principale riguarda la “forbice” che si apre nel quinquennio tra la dinamica molto intensa delle spese complessive “virtuali” e l’insieme di quelle particolari entrate tributarie che, più di altre, sembrerebbero “tagliate” per una gestione a livello regionale e locale.
Con la tipologia dei tributi oggi a disposizione, non sembra agevole assicurare che il mix di nuove risorse sia dotato di una adeguata autonoma capacità di crescita e di un grado limitato di dipendenza dalle fluttuazioni del ciclo economico.
Il Capitolo 4 (“L’attuazione del decreto legislativo n. 56 del 2000”) affronta un argomento già toccato nel Rapporto sul federalismo dello scorso anno, sempre connesso alle problematiche del finanziamento delle Autonomie Locali in un’ottica federale.
Le vicende più recenti seguitano a registrare la difficoltà attuativa del decreto, oggetto di forti riserve da parte di numerose Regioni, fino ad arrivare – soprattutto sotto la spinta delle Regioni Campania e Puglia - a una sospensione degli effetti dei DPCM di attuazione, adottati nel maggio scorso.
Le ragioni di tali difficoltà sembrano consistere in modo particolare nella differenza di andamento tra le spese sanitarie e il gettito generato dall’IVA che costituisce la base di finanziamento prevista dal decreto.
Il Capitolo 5 (“Le pronunce della Corte costituzionale in materia di federalismo fiscale”) prosegue un’analisi avviata nel Rapporto dello scorso anno. In un esercizio di estrema difficoltà, la Corte ha in numerose sentenze riconosciuto l’accresciuto ruolo delle potestà legislative regionali (emblematica la pronuncia in tema di sanatoria edilizia), ponendo quindi vincoli ben riconoscibili alla produzione normativa statale.
Molto importanti, sul piano dei risvolti finanziari, sono le sentenze sugli asili-nido che sostanzialmente precludono allo Stato la possibilità di intervenire - anche sul piano della definizione degli aspetti finanziari - su un ampio numero di materie rientranti nell’ambito regionale.
E tuttavia la Corte ha, in gran parte dei casi, escluso la possibilità che allo Stato 3 - anche nelle materie di apparente esclusività regionale - sia precluso il diritto a legiferare in modo autonomo.
Al di là delle giustificazioni, anche condivisibili, presenti nelle sentenze della Consulta (si pensi, effettivamente, al peso della “trasversalità” di materie quali la determinazione dei livelli essenziali su competenze esclusive regionali come l’assistenza sociale), una conseguenza è che le materie di stretto controllo normativo regionale tendono ad avvicinarsi nei fatti a quelle concorrenti.
Il Capitolo 6 (“I potenziali costi aggiuntivi del federalismo: una prima mappatura”) affronta una materia complessa perché si pone l’obiettivo di comprendere come e in che misura si possano verificare inefficienze e aggravi di spesa nella transizione al federalismo. La difficoltà a produrre stime attendibili sulla questione dei potenziali “costi aggiuntivi” dipende, innanzitutto, dall’assenza di un adeguato patrimonio informativo ai fini della quantificazione dei “costi”.
Ad esempio, poco si continua a sapere di eventuali maggiori oneri per la finanza pubblica derivanti dal decentramento di risorse e personale attuato in conformità con le leggi “Bassanini”. Il capitolo individua alcuni rischi, dalle possibili duplicazioni amministrative alle differenti dinamiche retributive tra Stato e Regioni.
Proprio con riferimento a queste ultime, una prima evidenza presentata nel Rapporto, con riferimento al periodo 2001-2003, mostra una situazione contraddittoria. Sulla base dei Contratti di Lavoro, infatti, gli importi medi pro-capite garantiti al personale delle amministrazioni statali risulterebbero superiori a quelli delle amministrazioni decentrate, mentre le retribuzioni di fatto, che tengono conto sia della c.d. “mobilità orizzontale” sia degli avanzamenti di carriera, risultano più onerose a livello decentrato.
L’insegnamento da trarre - soprattutto in fase preventiva, cioè ben prima che il personale dalle amministrazioni statali venga trasferito a livello regionale e locale - è che l’”ambiente” delle strutture decentrate sembrerebbe più incline a favorire una crescita complessiva delle retribuzioni.
Si tratta di primissimi segnali che vanno presi con la dovuta cautela e che necessitano approfondimenti ulteriori, tenendo anche conto, su un piano più generale, che lo stato delle finanze a livello locale è nell’insieme assai meno squilibrato di quanto spesso appaia nelle preoccupazioni legate all’attuazione del federalismo.
Il capitolo 7 (“Il processo di bilancio in un sistema policentrico”) si occupa della questione delle regole che governano l’iter di costruzione del bilancio pubblico. Attualmente, tali regole subiscono sollecitazioni di tipo opposto.
Da una parte, i vincoli del Patto di stabilità e di crescita condizionano “dall’alto” il processo di bilancio nazionale, dall’altra, Regioni e Enti Locali premono per un maggiore coinvolgimento nelle decisioni finanziarie prese dallo Stato. Inevitabilmente, durante la fase transitoria verso il federalismo, restano poche alternative allo Stato centrale se non quella di garantire, anche con una impostazione gerarchica delle politiche di bilancio, il raggiungimento degli obiettivi concordati in sede europea.
In prospettiva, tuttavia, un tale assetto appare inefficiente ad assicurare una conduzione virtuosa della politica di bilancio; appare quindi necessario un coinvolgimento non formale delle Autonomie Locali fin dalle prime fasi della programmazione finanziaria.
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