A certe condizioni, dal coordinamento tra i presidenti delle Regioni meridionali, inaugurate a Napoli il 3 maggio scorso, potrebbero nascere alcune iniziative capaci di dare una svolta allo sviluppo del Mezzogiorno.
Innanzitutto, la pressione congiunta delle Regioni meridionali potrebbe
indurre i governi nazionali a formulare un programma d'interventi a
breve e medio termine (incentivi e infrastrutture) rivolto
specificamente alle aree meridionali (ma non solo), che presentano
parametri economici e sociali al disotto della media nazionale.
Un tale programma dovrebbe impegnare risorse finanziarie pubbliche e
private, interne e internazionali, di vaste proporzioni. Pertanto, e
assolutamente legittimo che le Regioni meridionali si battano per avere
più risorse, specialmente se lo fanno con una visione di
intensificazione delle relazioni mediterranee ed europee. Da
un'impostazione siffatta e il paese nel suo complesso a trarne
vantaggio.
In secondo luogo, dal coordinamento tra i presidenti può
scaturire un mutamento delle politiche delle singole Regioni verso le
comunità locali che esse rappresentano. Al riguardo,
poiché ci sono forti esigenze di decentramento, lo scambio di
esperienze tra Regioni potrebbe produrre modelli di scelte e di
autogoverno delle risorse che rafforzerebbero la democrazia, la cui
debolezza e la causa prima della presenza crescente dei poteri
criminali, maggiore ostacolo allo sviluppo.
Inoltre, il coordinamento potrebbe essere proficuo se si mettessero a
confronto, analizzandoli, alcuni grossi problemi che le Regioni
meridionali nanno, alcuni dei quali sono stati indicati dagli stessi
governatori nelle interviste rilasciate al Corriere del Mezzogiorno del
3 maggio scorso.
II primo di questi problemi (non citato pero da nessun governatore
nelle suddette interviste) e la programmazione finanziaria. Diverse
ricerche, tra cui quella dei professori M. Flavia Ambrosanio e Massimo
Bordignon dell'Università Cattolica di Milano, hanno evidenziato
deficienze gravissime, specialmente nelle Regioni meridionali, in
merito alla formulazione dei documenti di bilancio, alla loro
trasparenza e alla
controllabilità della spesa regionale (ne abbiamo dato conto in un nostro articolo sul CorrierEconomia del 14 febbraio scorso).
Altrettanto proficuo sarebbe affrontare, in modo coordinate, il tema
(anch'esso non menzionato dai governatori) della gestione delle local
utilities e delle partecipazioni regionali nelle società che le
gestiscono: in questo campo sarebbe auspicabile una politica di vere
liberalizzazioni, che superi il dilemma tra gestioni pubbliche e
gestioni private in regime di monopolio, le quali producono
inefficienze nell'erogazione dei servizi, tariffe elevate e, per
questo, alimentano l'inflazione nelle grandi città meridionali.
Ci sono inoltre molti altri settori, come la sanità, i
trasporti, l'ambiente e il turismo, il welfare, il mercato del lavoro e
la stessa riforma delle proprie organizzazioni amministrative, per i
quali i governatori del Mezzogiorno potrebbero, con una visione aperta
e coraggiosa, elaborare linee politiche moderne, efficienti,
socialmente e finanziariamente sostenibili, aprendo in tal modo uno
spazio economico competitivo agli investimenti provenienti dall'esterno
del Mezzogiorno.
Sicuramente per affrontare tutti questi problemi ci vuole tempo e gradualità e sul piano analitico e organizzativo non sono sufficienti le riunioni periodiche dei soli governatori, anche se assistiti da qualche tecnico, per stendere un documento finale.
Sopratutto, non ci si deve illudere che Tunica azione politica da mettere in campo sia quella di acquisire un più forte potere di contrattazione nella ripartizione dei fondi europei e nazionali.
Dovrebbe essere chiaro che, per i governatori, le cose.da fare all'interno del Mezzogiorno, sono molte, difficili e complesse, anche per riposizionare il Mezzogiorno nel Mediterraneo. I governatori (e i rispettivi consigli regionali) hanno, pero, davanti a se un'intera legislatura per affrontare con spirito nuovo gli annosi problemi che affliggono le popolazioni meridionali.
In ogni caso, uno spirito meramente vertenziale (di tipo pansindacalistico) nei confronti del governo centrale sarebbe inadeguato di fronte alla complessità delle questioni.
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