Mentre il medico studia il paziente, il paziente muore. E il Sud muore da 144 anni, da quando i nostri politici o i cosiddetti “intellettuali” sbagliano le diagnosi e le cure e ogni tanto si ricordano e cavalcano il meridionalismo per acciuffare manciate di voti che fortunatamente non riconquisteranno più.
Si parla di nuovi programmi o di un nuovo modo di investire al Sud, come se i proponenti di queste iniziative solo da poche ore si fossero affacciati sul palcoscenico della vita politica della nostra povera terra.
Lo stesso Bassolino qualche colpa potrebbe anche attribuirsela dopo 12
anni (!) di governo locale: non è colpa della Lega o
dell’asse Tremonti-Bossi se l’Istituto San Paolo di
Torino ha assorbito i resti del glorioso Banco di Napoli, ad esempio,
completando la colonizzazione piemontese iniziata
all’indomani dell’unità
d’Italia; per non parlare della vendita della centrale del
latte o della chiusura della gloriosa vetreria Avir, della
privatizzazione e della svendita dell’Aereoporto di
Capodichino agli inglesi o della disoccupazione che aumenta di giorno
in giorno. A Napoli privatizziamo l’acqua e si grida allo
scandalo se si pensa di fare lo stesso con le spiagge, tra
l’altro abbandonate e in condizioni pietose.
Qualche leghista ha parlato di Borbonia in contrapposizione con la
Padania: la Borbonia non esiste non solo geograficamente ma soprattutto
culturalmente, noi meridionali siamo i gloriosi popoli delle Due
Sicilie e magari i nostri politici fossero più borbonici e
più orgogliosi del nostro passato! Sicuramente avremmo una
classe dirigente diversa, più dignitosa, fuori dalle logiche
di partito e più attenta a certe esigenze, a certe
attitudini, a certe predisposizioni radicate al Sud, proprio
sull’esempio di quanto fecero i Borbone di Napoli.
Noi meridionali siamo stati fino al 1860 la ruota motrice del carro
italiano in tutti i settori, da quello industriale a quello agricolo,
da quello socio-economico a quello culturale: basta pensare solo alla
grandezza di Pietrarsa, primo stabilimento metalmeccanico
d’Italia con 1050 operai (l’Ansaldo di Genova negli
stessi anni 480 operai, la Fiat non era ancora nata) o ai primi assegni
della storia del sistema bancario, alla rendita dello stato quotata
alla borsa di Parigi al 120 per cento o all’assenza totale di
emigranti dalle nostre terre.
Ora siamo il rimorchio senza ruote del carro europeo, la cosiddetta
palla al piede di un sistema economico italiano che ci ha sfruttati per
140 anni e continua a farlo senza avere né la
capacità, forse, né la volontà di
cambiare lo stato delle cose: possiamo ricordare puntualmente governi
di destra o di sinistra pronti a “consigliare” ai
nostri giovani l’emigrazione come unica soluzione possibile?
Ogni tanto un sussulto di finto orgoglio, un demagogico tentativo di
smuovere le coscienze meridionali, ma siamo stufi di certi meridionali
e soprattutto siamo stufi di certi meridionalisti. Senza anacronismi e
senza nostalgia dovremmo essere più attenti a capire
attraverso il passato chi siamo stati, chi siamo adesso e chi potremmo
essere.
I Borbone fecero proprio questo: capirono i pregi e i difetti di una
civiltà tre volte millenaria contestualizzandola nel loro
tempo con una consapevolezza e un orgoglio diverso e fummo tra i primi
d’Europa. Altro che “Borbonia” o
“reti del Sud”. Gli intellettuali e i politici
pronti a disprezzare la nostra storia sono gli stessi che da 140 anni
non rappresentano in maniera adeguata e degna gli antichi popoli delle
Due Sicilie.
Dopo tutto questo tempo, dopo le migliaia di pagine scritte
(inutilmente) dai meridionalisti di ieri e di oggi, dopo gli interventi
(inutili) delle Casse del Mezzogiorno (servite per finanziare le
aziende del Nord) o delle leggi speciali di ieri e di oggi, avremmo il
diritto di essere rappresentati da classi dirigenti finalmente fiere e
radicate. Dopo tutti questi anni di colonizzazioni economiche e
culturali, dopo i saccheggi del passato e del presente e la
“deportazione” di milioni di meridionali che
emigravano e continuano ad emigrare senza sosta, i
“piemontesi” di oggi dovrebbero imparare a
rispettare di più i “duosiciliani” di
oggi. Solo così il Sud ritroverà la strada di un
riscatto che aspetta da troppo tempo.
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