Vorrei tornare sull’argomento Referendum e federalismo fiscale per esprimere alcune mie considerazioni.
Relativamente al federalismo fiscale bisogna innanzitutto sgombrare il
campo da un equivoco: il Titolo V della Costituzione così
come
riformato dal centrosinistra e la proposta del centrodestra
sono
solo espressione di una pallida riforma ma possono, a mio parere,
essere considerati come un primo approccio sul tema ben più
ampio dello Stato federale italiano.
Oramai bisogna prendere atto che l’epoca dello Stato
“assistenzialista”
è dappertutto finita perché il peso del debito
pubblico,
nel caso italiano fra i più elevati al mondo, non consente
più di coprire, tramite lo “sfogo”
dell’impiego pubblico, della
cassa integrazione guadagni, della mobilità, delle pensioni
anticipate, ecc., la carenza di posti di lavoro nel settore privato.
L’unica strategia che ci rimane è quindi quella di
seguire
l’esempio di altre economie europee, cioè quella
di approntare
strumenti di politica economica idonei ad attirare in misura cospicua
investimenti dall’estero.
Abbiamo, in ambito Unione Europea, casi come l’Irlanda, la
Spagna,
Cipro, la Grecia, la Slovenia in cui, grazie a queste politiche, il
reddito pro-capite, soprattutto negli ultimi anni, è
rapidamente
aumentato ed è attualmente superiore a quello del Sud
Italia.
Bisogna inoltre prendere atto di un’altra realtà:
le Regioni
attualmente più produttive d’Italia, ovvero quelle
settentrionali, stanno da tempo manifestando la loro intenzione di non
finanziare più i deficit pubblici causati, in particolare,
dalle
politiche dello Stato “assistenzialista”.
Ritengo ora inutile entrare in polemica ed in contrapposizione con chi
comunque dispone di risorse economiche maggiori delle nostre, e di
alleanze consolidate, non essendo noi, in questo ambito, neanche
assistiti da una classe politica meridionale, purtroppo,
all’altezza
del compito.
Ritengo inoltre che l’atteggiamento delle Regioni
settentrionali
potrebbe, al contrario, essere utilizzato a nostro favore liberandoci
da una dipendenza economica che frustra invece le
potenzialità
attualmente inespresse delle Regioni meridionali.
Fatte queste premesse quello di cui ha bisogno il Sud è
quindi
una maggiore autonomia per decidere sul più appropriato e
conveniente utilizzo delle proprie risorse e per stabilire una sua
politica finanziaria di entrata e di spesa che attiri, come
già
detto, sempre più investimenti dall’estero.
Una “Macroregione/Stato Due Sicilie”
all’interno di uno Stato federale
italiano potrebbe essere più autonoma e più
autorevole
delle attuali singole sette Regioni meridionali. Questo sia
all’interno
dello Stato federale che in ambito internazionale.
Il processo per la creazione della Macroregione e dello Stato federale
è ovviamente molto lungo, ma se mai si incomincia il
risultato
sarà solo quello del continuo impoverimento del nostro
territorio e della conseguente emigrazione.
Noi Meridionali dobbiamo una volta e per tutte convincerci di questo
senza sperare più nell’assistenzialismo dello
Stato italiano.
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