In autunno il Parlamento catalano discuterà il nuovo statuto di autonomia, che sarà poi sottoposto al vaglio di quello spagnolo. In ambedue le assemblee c’è una maggioranza di sinistra, imperniata sul Psoe, il partito di José Luís Gonzales Zapatero, ma gli orientamenti di merito sono assai distanti.
Inoltre si profila, in Catalogna, una maggioranza trasversale che ha proposto una formula costituzionale apparentemente anodina, ma in realtà esplosiva, che fa risalire i caratteri dell’autonomia ai “diritti storici”.
Gli esperti del governo Zapatero, in questo concordi con
l’opposizione popolare, hanno risposto che “Il
Tribunale
costituzionale ha respinto in modo chiaro e ripetuto
l’interpretazione della modifica dell’ordinamento
costituzionale attraverso i diritti storici”, che vengono poi
definiti come “un cavallo di Troia storicista che contraddice
i
principi basilari di qualsiasi ordinamento giuridico”.
Nella sostanza i diritti storici risalgono al ducato catalano
indipendente del medioevo: attribuire loro un valore attuale significa
di fatto porre le basi per un diritto alla secessione. Si tratta di un
caso nel quale il richiamo alla storia ha un evidente senso politico e
istituzionale, per questo viene così radicalmente respinto
da
una parte e sostenuto dall’altra.
Fa una certa impressione che a demonizzare lo “storicismo” in Spagna sia un governo di sinistra, mentre i suoi più accaniti sostenitori sono i conservatori nazionalisti catalani.
Si vede che la “freccia della storia”, quella che
indicava
l’immancabile sorgere del sol dell’avvenire, non
è
più di moda, almeno a Madrid.
A questa Zapatero oppone la sua idea di principio maggioritario assoluto (“Quello che vuole la maggioranza dei cittadini è giusto”), che però questa volta si inceppa di fronte alla costatazione che la grande maggioranza dei catalani è intenzionata a difendere i propri diritti storici.
D’altra parte l’idea che la storia della Spagna sia cominciata solo alla morte di Francisco Franco non solo non è storicistica, non è neppure ragionevole.
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