I brani di autori riportati, che ci danno un quadra molto significativo della situazione della nostra regione, sono di grande aiuto per cercare di far luce sul male endemico del brigantaggio, che e affiorato tante volte lungo il corso della storia, ma che e esploso in tutta la sua virulenza dopo il conseguimento dell'unita d'Italia.
La Basilicata e stata sempre terra di feudi e non di città; la
mancanza di città come centri propulsori di vita economica e
culturale, e stata senza dubbio la causa principale che ha costretto il
nostro mezzogiorno ad essere annoverato tra le zone più
arretrate; vi sono stati solo centri amministrativi e burocratici,
unica eccezione Napoli.
Questa situazione caratteristica del mezzogiorno era accentuata
maggiormente nella nostra Basilicata, che non ha mai avuto un centro
dinamico, che possedesse la forza di imporre il suo prestigio e cosi
elevarsi al di sopra del particolarismo delle sue "Terre", per poter
eliminare le conseguenze deleterie del frazionamento. Ancora oggi poli
di attrazione per la nostra zona sono sempre Napoli e Bari. Il mare
lambisce per breve tratto le sponde della Basilicata, ma non ha mai
arrecato i benefici che i paesi costieri ne ricavano; non solo mancano
gli incentivi, le novità, le aperture, ma addirittura il mare
diventa elemento estraneo di chiusura, per la paura dei pericoli della
Pirateria. Incontrastato e pertanto il predominio della montagna, che
se assicura per il momento protezione contro le varie invasioni,
accentua per sempre di più l’isolamento e la chiusura. Le
comunità locali, arroccate sui cucuzzoli della montagna,
scendono a valle solo per la coltivazione dei campi, con un'unica e
misera prospettiva: il poter ricavare da quel lavoro il minimo per la
sopravvivenza. Tutte queste situazioni non possono garantire alla
Basilicata una sua omogeneità, per cui ogni raggruppamento vive
la sua storia, racchiusa e circoscritta dal proprio orizzonte.
La posizione geografica, la secolare mancanza di comunicazioni con le
altre regioni d'Italia hanno purtroppo sempre caratterizzato
l’emarginazione dei nostri paesi, ma non hanno fiaccato del tutto
lo spirito indomito degli uomini più avveduti che hanno sempre
tentato di rompere l’isolamento e cercato di aprirsi alle
novità che si annunziavano nelle
altre regioni d'Italia.
La Basilicata esce dal suo isolamento (simboleggiato dalla strada
rotabile che giunge a toccare Potenza solo nel 1818). Si ricollega alle
grandi linee della storia meridionale, partecipa con i suoi uomini
migliori a tutte le principali vicende politico sociali che
accompagnano la vita del regno, da il suo contributo alla formazione
dell'unita nazionale (Cestaro).
Nel 1799, nel 1821, nel 1848 bagliori di luce hanno cercato di
squarciare le tenebre: Mario Pagano, Michele Granata, Emilio Maffei,
Rocco Brienza... sono soltanto alcuni dei numerosi patrioti che hanno,
pagando spesso anche con la vita, guidato i primi tentativi di
emancipazione.
Nel 1857 si annunzia una sommossa di proporzioni più vaste, ma
l’eroico gesto di Carlo Pisacane non consegue risultati
incoraggianti, forse anche perchè al comitato lucano di
Montemurro, in corrispondenza segreta con Mazzini a Londra e con i
comitati di Napoli, non giunge in tempo la notizia dello sbarco e
l’impresa fallisce miseramente sul nascere. In proposito scrive
Ciasca: "La responsabilità degli avvenimenti che
contrassegnarono la spedizione di Pisacane a Sapri nel 1857, cosi come
si svolsero, non è da imputare all'Albini o al Centro
insurrezionale in Basilicata".
Questo episodio spegne la vita del Pisacane e dei suoi eroici compagni,
ma non l’ardore indomito di Giacinto Albini, che, per garanzia di
sicurezza, nel frattempo trasferisce il comitato a Corleto Perticara e
per due anni diventa l’infaticabile organizzatore del movimento
insurrezionale della Provincia.
I 124 paesi e due villaggi, Ginestra e Banzi, che la compongono sono
riuniti in dieci gruppi: Rotonda, Castelsaraceno, Senise, Tramutola,
Miglionico, Tricarico, Genzano, Avigliano, Potenza, Corleto. Come capi
di ogni gruppo vengono scelti distintissimi patrioti. Del comitato di
Avigliano fanno parte: Avigliano, Ruoti, Balvano, Baragiano, Muro,
Bella. Castelgrande, Sanfele, Pescopagano, Rapone. Ruvo, Atella.
Rionero, Barile, Rapolla, Ginestra, Ripacandida, Melfi.
L'attività del comitato di Corleto è intensa, in casa
Senise si cura il collegamento con tutti i paesi; tutti i componenti
della famiglia collaborano sotto la spinta dinamica di Carmine Senise.
Lo sbarco del generale Cosenz in Sicilia, anziché nelle nostre
regioni, continue indecisioni di Napoli fanno fremere il comitato di
Corleto che scrive: "Un vostro sforzo, non straordinario nel provvedere
a tutte le su notate esigenze, e la rivoluzione sarà compiuta,
non perchè un urto non di gran numero basta a rovesciare
l’attuale governo..."e ancora "Tutto si faccia subito, e
diciamolo una volta, che se 'I Regno incodardirà assonnandosi,
la colpa non sarà delle Provincie, non della Basilicata cosi ben
disposta, ma di Napoli, a cui finalmente non si chiede un impossibile,
ma un poco di energia, e qualche giusto e possibile provvedimento".
Il costante tentennamento del Comitato di Napoli, screzi personali tra
i componenti del comitato stesso mettono di nuovo in allarme i patrioti
di Corleto, che, impazienti, scrivono lettere di fuoco; in particolare
in data 1 agosto: "Questo prolungamento di cose, a dire il vero,
comincia ad ingenerare seccaggine ed impazienza: sebbene siamo
persuasissimi della vostra indomata energia a toglierci quanto prima da
questo stato di sedentarietà, che all'ultimo ci farebbe divenire
podagrosi".
La Basilicata, per la prerogativa dei suoi monti e per la ricchezza
delle sue boscaglie, sembra la più indicata alla guerra per
bande ed e soprattutto la più bollente, la più decisa a
rompere gli indugi. Nicola Mancusi, sacerdote e responsabile del
comitato di Avigliano, fin dall'ottobre del 1859 comprende
l’importanza di scegliere Rionero come centro della sua missione,
per l’entusiasmo della classe media e per
l’imponenza sul paesi dei dintorni.
A Rionero infatti nel giugno del 1860 viene istallato il comitato che,
a sua volta, provvede a costituire quello di Atella, Barile, Rapolla e
Melfi; solo in Ripacandida non è possibile riuscirvi. Dal
comitato di Avigliano dal segretario Nicola Summa vengono inviate
circolari stilate con una scrittura invisibile, usando una composizione
chimica a base di olio vetriuolo; viene pertanto garantito
l’appoggio incondizionato di tutta la zona del Vulture alla ormai
imminente insurrezione lucana.
Garibaldi e da lungo tempo inattivo in Sicilia, implicanze
internazionali, interessi nascosti, contrasti e vedute diverse
ritardano il compimento dell'opera. Il comitato insurrezionale lucano
questa volta ha forse una parte determinante: non può più
attendere e fissa l’inizio dell'insurrezione per il 18 agosto.
A Rionero la sera del giorno prima, il 17 agosto, il sindaco Giuseppe
Mlchele Giannattasio, con il quadro di Garibaldi in mano, scende in
piazza al grido di "Viva Garibaldi"; gli animi si accendono e a tarda
sera il suddetto sindaco Giannattasio, Emanuele Brienza, Canlo Musio,
Nicola Mennella, Achille D'Andrea, Achille Pierro, Francesco Pennella e
Costantino Vitelli, alla testa di un drappello di 54 volontari prendono
la strada di Potenza. Invitano da Avigliano quelli del melfese a
concentrarsi verso la zona del monte Carmine nella cappella del
Santuario della Madonna del Carmelo «il prete don Andrea De Carlo
celebra la S. Messa e benedice la bandiera tricolore».
Poco dopo giunge il gruppo del melfese con alla testa Decio Lordi,
quindi tutti in un'unica colonna al comando di Nicola Mancusi si
avviano verso Potenza. La scintilla dell'insurrezione lucana si accende
con la sua carica di entusiasmo e pone prepotentemente le premesse per
l’ultimo balzo verso l’unita d'Italia. Tutti i gruppi dei
volontari dei vari comitati raggiungono Potenza che insorge e affida
alla storia la data del 18 agosto come contributo lucano per
l’unita. Il giorno dopo 19 agosto nasce il governo
prodittatoriale della Provincia con Mignogna e Albini.
“La Basilicata, questa terra di antiche memorie è insorta.
L'incendio è scoppiato nel cuore delle provincie messe al di qua
del faro. L’antica Lucania è già provincia del
regno d'Italia. Ecco la prima pagina di questa nuova storia” (dal
corriere lucano del 23 agosto 1860).
Di riflesso, o casualità, nella notte tra il 19 e 20 agosto
Garibaldi sbarca sulla spiaggia di Melito e la mattina del 20 si
incammina verso Reggio. Due generali cercano di contrastare la sua
marcia, Caldarelli e Ghio, ma avendo di fronte Garibaldi e alle spalle
gli insorti lucani, presto depongono le armi, il Caldarelli il 25
agosto, il Ghio il 30 agosto, e cosi 23 mila regii si arrendono e si
sbandano.
Il 2 settembre Garibaldi tocca Rotonda, primo paese della Basilicata.
Intanto, sotto la guida di Floriano Del Zio, tutti i comuni della zona
del Vulture si affrettano a costituire giunte insurrezionali, composte
da alcuni individui, noti "per fede patriottica ed energia".
Una delegazione lucana il 4 settembre ha l’onore di incontrarsi
col dittatore al "Fortino" di Lagonegro, dove Albini, in riconoscimento
del notevole contributo dato, viene nominato governatore della
Basilicata. Mignogna consegna 6.000 ducati, dono prezioso dei lucani
per la difficile contingenza in cui si trovava il dittatore.
Questo episodio ricollega simbolicamente due eventi storici: "in quelle
valli echeggiarono Ire anni prima i colpi di fucile che disperdevano
gli arditi precursori del nostro giorno, guidati da Pisacane".
Garibaldi ordina che
"le prodi schiere lucane
lo seguano nel compimento dei patri destini" e
viene formata la brigata dei cacciatori lucani, che il 19 settembre in
Napoli sfila, scrive il Riviello" "con marziale disinvoltura, lungo via
Toledo, fra gli applausi fragorosi di quel popolo cosi caldo di
entusiasmo".
Ai lucani tocca l’ambito onore di andare innanzi agli altri,
perchè "ben si riconosce che essi sono stati i primi a iniziare
la rivoluzione nelle provincie meridionali". "Si –
dirà Garibaldi – so il vostro patriottismo. Dite ai vostri
lucani che li preferirò sempre. Credete a me che ho combattuto
con uomini disciplinati e con borghesi, e se questi hanno avuto valore
sono stati i più terribili. lo vi stimo come il primo corpo
disciplinato e vi terrò avanti a tutti".
Il clero lucano è in prima linea, è presente in tutte le
giunte insurrezionali e nei comitati. Mancusi, Mennella, D'Andrea e
numerosi altri sacerdoti, alla guida del popolo lucano danno un valido
contributo alla realizzazione del sogno dell'unita d'Italia,
perchè credono negli ideali e valori di fratellanza, anche se
saranno di breve durata.
Anche questa volta però il popolo lucano ben presto vede deluse
le sue speranze di inserimento nella nazione, continuando a subire
l’emarginazione di sempre, più amara questa volta,
perchè, dopo aver dato un valido contributo di sacrifici e di
sangue, si vede costretto, dopo pochi mesi dall'unità, accettata
ufficialmente col plebiscito, ma non nella realtà della vita, a
inficiarla e a metterla in profonda crisi con la violenza e altro
spargimento di sangue fraterno, per tentare di distruggere con tutta la
rabbia della disperazione quello che con tanta passione aveva
faticosamente costruito.
Dirà dopo molti anni don Giuseppe De Luca: «lo sono
dell'Italia meno italiana che esiste, dell'ultima Italia che si stende
verso l’Africa e la Grecia, stata gran tempo sinora albergo di
varii signori, e mai casa nostra soltanto, sicché sembriamo,
noi, senza volto o almeno nessuno ce ne riconosce uno».
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